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18 apr 2007

Ali Podrimja

Non credo vi siano abbastanza parole per descrivere il dolore che incombe nella poesia del poeta Ali Pedrimja. Il richiamo sempre a questa terra natale che l’abbandona sempre e sempre è “venduta”, una fiaba antica, è una chiara impronta di un naturale angoscia derivata dalla guerra degli uomini, “i suoi vicini”, che il poeta arriva sempre a cercare in ognuno, senza trovarlo. L’uomo pure in amore è portato alla guerra: l’unico stato d’animo vivibile è la sofferenza. Forse per scacciarla il poeta cerca l’ombra della Torre, vista come un richiamo alla libertà, il luogo più alto da raggiungere, e quasi arrivare a volare. Nella sua poesia vi è sempre la metafora della Torre che culla la solitudine, l’andirivieni dei pensieri…per cancellare l’angoscia. Ma nulla è tregua: ogni cosa è indizio di guerra e lacrime.



***


L’amore

E’ tempo di amarci,
di avere fiducia in me quando ti dico: Coraggiosa,
di avere fiducia in te quando mi dici: Coraggioso.
Ma nel mio tempo troppe trappole hai messo,
molti fucili riempì tuo padre, la tua gente,
mille e uno oscuri tranelli hai ordito, dove potermi prendere aspettarono.
E sotto un angolo s’abitava,
pesavi ogni giorno le mie ore,
ogni giorno leggevo Shakespeare all’ombra della Torre,
per non incontrarti nel braccio delle speranze.
Curami gli occhi, amore mio,
curami la schiena dal sole, dal dolore!
Ho paura che mi scavino gli occhi nel terrore,
ho paura che mi uccidano dietro le spalle i senza fede.
Amore mio, allungami la mano per oltrepassare quest’acqua larga,
non sono straniero, né vengo da terre morte.
Nel fondo della valle raccolta osservo:
il cavallo bianco è nostro ora e per sempre.
Mi guardi dritto negli occhi, lascia i litigi, le parole, le offese.
Ti porterò il Fiore dal cuore di pesco,
accenderò la lampada alla torre,
seminerò la nuova terra.
Quando t’amavo, portavi l’amore dopo sette villaggi
e le tue raccolte erano forti.
Quando m’amavi, portavo l’amore ad una donna pazza
e l’ingrata indietreggava per l’orrore.
E’ in termine la vita, coraggiosa, perchè non abbiamo pensato anche a noi stessi.
Tempo è d’amarci.


***


Epica

Per secoli ho venduto il sangue
e sono cresciuto sol sangue venduto.
Per secoli ho mangiato da solo
cosciente di non aver riso da solo quanto basta…Amici,
Il Kosovo è il mio sangue che non si dona.


***


L’ansia

La mia terra brucia, la mia terra amata,
la mia fronte corrugata,
un pino…

Ho mischiato presto i tuoi confini con le mie ombre,
Kosovo, fiaba antica!
Presto m’hai legato i piedi e le mani con orrore
sofferenze e morte…

Quindi, chi salvo per primo: me stesso o gli uccelli

s’alzano in volo?
Cosa dire ai nipoti del mio canto di morte?
- Eh, anche se m’aveste staccato la testa, un’altra
mi sarebbe cresciuta!

La mia terra brucia
in ogni palmo del mio corpo - terra maledetta…


***


Oltre il dolore

Sono caduti rami spezzati dalle nuvole sul tuo corpo
venduto. Kosovo.

Le tue pene fino alle radici si stanno sgretolando,
e oltre il dolore grida s’infrangono con la mia fronte,
con le ali degli uccelli uccisi con l’amore
della mia gente sfinita dalla sete.

Intorno al tuo corpo come un serpente sono avvolto,
per infuocare le montagne rocciose,
mani e piedi legarli con l’insieme delle tue fiabe -
che non ti lascio vivo insanguinato, senza lavare il palmo
col palmo, senza lasciare in te corpo e vita
piano e piano senza accendere fuoco…
Sono caduto ramo spezzato dalle nuvole sul tuo corpo
venduto dal fucile di morte, dal fucile
invisibile…
Quale sarà la mia canzone di ieri e la parola della mia gente?

Il pioppo di casa mia s’è bruciato, dove tagliare lo sguardo,
dove sciogliere la fiamma dell’acqua per te, Kosovo?


***


La bellezza

Allungai la mano sul prato per cogliere un fiore
“Non farlo - il mio amato vicino m’urlò -
- appassirà!”

Allungai il passo per raggiungere il cavallo bianco -
sognando l’arrivo chissà quanto.
“Non farlo” - di nuovo arrivò il vicino.
E piansi di nastalgia ancora.

Gettai il braccio su tutto afflitto -
nasce e mi sembra m’accenda gli occhi di luce.
“Beato te!” - qualcuno urlò in un abbraccio
e null’altro vidi e sentii.

Da allora, ovunque cerco il mio vicino migliore.

(Traduzioni di Anila Resuli dall'albanese)

*

Ali Podrimja è nato (1942) e cresciuto a Gjakovë. Studiò Letteratura Albanese all’università di Pristina, dove attualmente vive. Nel 1957 pubblicò la prima poesia sulla rivista Jeta e Re (La nuova vita). Erano anni in cui il Kosovo viveva nel terrore del potere serbo, con la sua città come centro principale delle rivolte. Questo portò il poeta a scrivere su questa condizione di totale disagio nel 1960 Hija e tokës (L’ombra della terra). Nel 1961 pubblicò la silloge di versi elegiaci Thirrje (Richiami) e successivamente Shamijat e përshëndetjeve (1963 - I foulard dei saluti), Dhimbë e bukur (1967 - Dhimba bella), Sampo (1969), Torzo (1971) ecc. fino all’opera più bella Lum, lumi (1982) che determinò un cambiamento nella poesia contemporanea kosovara.
Negli anni ‘80- ‘90 vi furono le pubblicazioni di Zari (Il dado), Buzëqeshje në kafaz (Sorrisi in gabbia) fino ai due libri di prosa: Burgu i hapur (1998 - La prigione aperta) e Harakiri (1999). La sua poetica introdusse nella poesia albanese l’uso del verso libero, l’uso delle metafore e dei simboli, l’ironia, un nuovo modo di rappresentare il mondo umano.
Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue.

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scritto da anila resuli | Comments (0)


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